di Valentina Trentini
Uno spazio luminoso in un angolo della Galleria Vittorio Emanuele a Milano, l’Osservatorio di Fondazione Prada nasconde piccole perle d’arte.
Come si può definire l’arte? Una forma, un colore, uno stile, un simbolo, qualcosa dipinto su tela, scolpito nel marmo, eretto a edificio. Sarebbe fin troppo riduttivo.
Qualcosa che, visto, toccato o sentito, smuova lo spettatore? Anche le tragedie hanno quest’effetto.
C’è tuttavia un aspetto che accomuna tutte le opere d’arte: la loro presa di posizione. Quando un artista ha un’idea e la sviluppa, in qualsiasi modo essa venga realizzata, l’opera che ne risulta ha un valore intrinseco, quello della creazione.
Questa riflessione ci accompagna all’ultimo piano della Galleria Vittorio Emanuele, dove si trova l’Osservatorio di Fondazione Prada. Condivide l’ingresso eccentrico con una delle pasticcerie più note di Milano e, fino all’8 settembre, ospita “A kind of a language: storyboards and other renderings for cinema”.
La mostra, curata da Melissa Harris, esamina il complesso processo creativo che precede la realizzazione di un film: gli storyboards. Destrutturati in moodboards, quaderni, fotografie e schizzi, restituiscono uno spaccato complesso che viene in questa occasione raccontato e messo a nudo.
Creare storyboards è spesso parte integrante del processo di concezione di un film, perché permettono di avere un’idea più chiara delle scene, dal punto di vista soprattutto visivo, e amplificano gli spazi immaginari dei creatori. Prima ancora della voce, del far parlare i personaggi, serve l’immagine, serve una sequenza.
Avere un riferimento visivo non è un vincolo alla creatività, anzi, è uno stimolo. Gli autori riescono così a correggere i problemi che possono sorgere nella creazione di una sequenza; dai dettagli della luce, al modo in cui utilizzare gli effetti speciali, alla riflessione sulle interazioni tra i personaggi. “Sarà giusta la posizione di quell’oggetto? La luce rende i volti troppo pallidi?”.
Nati all’inizio del XX secolo come pratica di sviluppo dei film d’animazione, gli storyboards diventano uno strumento fondamentale anche per il resto delle opere cinematografiche.
Hanno un duplice scopo: se da un lato rappresentano la visione creativa del regista, dall’altro spesso accompagnano la realizzazione tecnica di un film. Sono un vero e proprio linguaggio, che permette di elaborare un concetto, un’idea, una sceneggiatura.
E così, mentre lo spettatore gira tra le stanze in parquet lucido dell’Osservatorio, si può rendere conto della potenza di questo strumento. Lo storyboard fa evolvere la storia, che evolve con esso. Sono strumenti flessibili che permettono di coordinare le varie scene e figure che compongono la realizzazione di un film.
Non c’è fase di creazione cinematografica che non si serva di uno storyboard: dalla pre produzione, durante la quale permettono di visualizzare le idee del regista, alla produzione stessa, come guida per l’organizzazione delle riprese; fino alla postproduzione, momento in cui contribuiscono al montaggio e all’inserimento di effetti speciali.
La mostra è allestita immaginando uno studio dove vengono collocate le storyboards. L’ambiente di lavoro dei creatori viene tradotto in un’esperienza spaziale, con i tavoli espositivi ispirati alle scrivanie da disegno. Ogni tavolo è dedicato a un film specifico, di cui viene presentata la narrativa visuale sotto forma di una sequenza di scene che possono essere osservate da vicino. Anche la disposizione dei tavoli evoca la struttura sequenziale di una pellicola cinematografica.
Lo spettatore non sta più visitando una mostra, ma sta assistendo alle riprese di un film. Ogni tavolo è dedicato a una pellicola diversa, eppure c’è una continuità fluida tra un’opera e l’altra. Opere fatte di schizzi, disegni, note a margine di una sceneggiatura.
Alcuni storyboards sono definiscono un luogo, come il disegno delle acque del Mar Rosso che si separano nel film “I dieci comandamenti” di DeMille. In altri casi, una sequenza suggerisce un’ambientazione, come quelli di Edgar Clement per “Bardo, la cronaca falsa di alcune verità”. Inoltre, gli storyboard possono anche suggerire il modo in cui la sensazione del luogo sarà espressa e elaborata (e ciò succede soprattutto quando l’ambientazione ha un ruolo cruciale).
Anche i personaggi vengono delineati e elaborati man mano. É il caso della protagonista di “Mamma Rosa”, film di Pier Paolo Pasolini, interpretata da Anna Magnani.
Tra uno storyboard e l’altro è impossibile non notare le differenze tra il cinema europeo e quello americano. Gli europei hanno generalmente un approccio più artistico e artigianale, mentre quelli americani sono il risultato di una visione rivolta all’efficienza e alla produttività.
Oggi gli storyboards sono utilizzati soprattutto per i progetti di animazione, come dimostrano i disegni preparatori di Hayao Miyazaki di studio Ghibli. Nessuno di noi quando guarda un film d’animazione pensa al lavoro che c’è dietro, alla storia del disegno, allo studio dei movimenti accurati che il team creativo ha dovuto realizzare. I film d’animazione spesso possono essere anche più complessi dei film con attori in carne e ossa, poiché i disegnatori devono sforzarsi di far cogliere ogni nuance emotiva attraverso dei disegni.
Gli storyboards, di qualsiasi natura essi siano, sono delle vere e proprie opere d’arte. Sono un mondo a parte, un racconto nel racconto, un linguaggio artistico celato e a volte incompreso. Sono il carro trainante per la realizzazione di un film, un carro fondamentale e degno di applausi.