di Valentina Trentini
Non tutti i racconti sono a parole. Anche nell’arte, i soggetti si fanno storia, narrazione.
L’arte ci parla nelle sue scene, si lega allo spettatore e, anche ciò che non è contemporaneo, può essere traslato nel mondo d’oggi. L’arte, in fin dei conti, è un continuo presentarsi di un soggetto nel mondo.
Uno scorcio particolare ce lo offre Valerio Adami, pittore, ma anche intellettuale, o forse prima intellettuale e poi pittore. Con le sue opere esistenziali pone lo spettatore davanti a un linguaggio narrativo di forte impatto, con metafore visive, con un mescolarsi di filosofia e mitologia. Il mito non è mai fuori luogo, mai fuori tempo. La sua figurazione è allegorica, ma personale. Niente di mai visto prima, e per questo quando lo si osserva, non ci sembra estraneo. Non c’è analisi dell’inconscio, non c’è interesse per gli stati d’animo, eppure lo spettatore riesce sempre a rivedere qualcosa di sé in ogni sua tela. Il suo modo di dipingere a tratti disorienta, ma anche dal disorientamento può crearsi un dialogo. Ed è quello che vuole Adami.
Fino al 22 settembre a Palazzo Reale di Milano possiamo assistere a una mostra antologica dell’artista, che è stato una figura centrale del panorama artistico milanese degli anni ’60. La mostra vuole celebrare i suoi sessantacinque anni di carriera.
Lo stupore accompagna lo spettatore a partire dalla prima sala, con la luce del sole estivo che illumina le grandi tele colorate su muri, rigorosamente bianchi. Questo netto contrasto tra i due accoglie il visitatore a braccia aperte. Le opere ci guardano e richiedono un confronto con noi. Sono corpi, proposti sempre con una figurazione diversa, a volte scomposta, a volte quasi astratta, ma che corpi rimangono. E ci parlano. Perché le sue opere, oltre alle numerose citazioni sia visive, che legate alla parola, si animano di soggetti che, anche se esclusivi, appartengono a una visione occidentale del mondo.
L’arte di Adami si forma dal disegno, che è la vera chiave di lettura, il vero punto di partenza di ogni suo quadro. Il disegno, secondo l’artista, permette di comprendere totalmente il rapporto tra idea, soggetto, narrazione, parola, che legato da fili sottili si intesse nell’arte pittorica. Il suo disegno non vuole riprodurre la realtà, perché sarebbe impossibile, ma può rappresentarla. La sua è un’arte dinamica, c’è un’accentuata dialettica tra tutti gli elementi: niente è lasciato al caso.
Il soggetto disegnato evoca, il soggetto narra, il soggetto racconta.
L’arte è un dialogo, l’arte può essere anche ascoltata, letta, non solo vista. Le sue tele sono vere e proprie narrazioni visive, spesso dedicate a personaggi o avvenimenti fondamentali nella storia. C’è una sala dell’allestimento totalmente dedicata ai cosiddetti ritratti letterari, o anche detti ritratti visivi. Che però, veri ritratti non sono. Sono ritratti immaginari dei modelli di riferimento che si è scelto, filosofi come Nietzsche, Freud, ma anche pittori come Bacon e Kokoschka o poeti come Leopardi. I volti dei filosofi, dei musicisti, dei poeti, vengono trasfigurati, colorati in modo acceso, riempiti di parole. L’artista stesso dice che la sua pittura è in prosa. Sta allo spettatore saperla leggere.
Un’altra stanza invece, che suscita altrettanto stupore, è dedicata a figure più mitologiche, ma che possiamo traslare nel presente. In “Un amore: la morte” Adami offre una visione ambivalente su un oggetto tanto comune, un semplice tavolo, su cui lui raffigura un erotismo per niente sconcio, estrapolato dai suoi connotati corporei e carnali. Il tavolo diventa luogo d’amore ma anche luogo di morte, e il corpo nudo squadrato e scomposto sdraiato su di esso lo abita, lo riempie. Ma senza alcuna oscenità. Il quotidiano si fa oggetto di conversazione. È solo un tavolo, sono solo corpi, cosa potranno mai c’entrare tra loro? Sarà lo spettatore a deciderlo.
Courtesy Archivio Valerio Adami
Non è l’unica tela in cui ci sono note erotiche, ma in nessuna c’è volgarità. Piuttosto idea, piuttosto pensiero, anche il corpo pare un oggetto geometrico scomponibile come le torri del Jenga. Pure in “Tramonto” o “La nuvola”, dove corpi dai colori vividi, la pelle nuda e pose succinte sembrano espropriate di qualsiasi impudicizia. Sono corpi, ma non sembrano vivi. Troppo geometrici, troppo rigorosamente spigolosi per far pensare allo spettatore a qualsiasi doppio senso. Però ci parlano, ci fanno fermare davanti a loro. Perché magari ciascuno di noi può rivedere qualcosa, che sia nella patina colorata che li ricopre, o nella situazione in cui vengono immersi, o per le didascalie letterarie che li accompagnano.
Courtesy Dep Art Gallery
Adami cerca disperatamente la verità con le parole, ma queste stesse parole non vengono inserite numerose nelle sue tele. Solo qualche accenno, qualche lettera, giusto un nome se proprio serve. Perché, forse, sono le parole dello spettatore quelle che l’artista vuole suscitare, sentire, far dialogare. Per questo ci pone davanti a una narrazione diversa, vivida, ma mai scontata. C’è una vera e propria furia espressiva nei suoi disegni, condizionati dai milioni di varianti del momento. Il cromatismo è acceso, ma non per questo viene a mancare la componente intellettuale dell’opera.
L’arista non ha nemmeno una tecnica prediletta, perché Adami è un artista poliedrico, che passa dalla matita, alla biro all’acrilico, ma sempre con la stessa elegante maestria che lo contraddistingue. Anche lo stile nel corso degli anni è mutato, il senso della narrazione assume man mano un significato diverso. Dietro a immagini di apparente immediata leggibilità, c’è sottintesa una narrazione molto più profonda, sofisticata. Adami dipinge racconti per gli altri, riguardo agli altri, e questi altri siamo noi. Ci racconta l’Occidente, a prescindere dal momento raffigurato.
Foto Gabriele Leonardi. Courtesy Archivio Valerio Adami
Il suo simbolismo può combaciare perfettamente con la nostra identità, se glielo permettiamo. Se, quando varchiamo quelle stanze luminose, abbassiamo la guardia e ci lasciamo avvolgere dalla sua rivisitazione della realtà. Anche perché in fondo, nessuno di noi è esente dal rivisitarla alla propria maniera.
Foto Gabriele Leonardi. Courtesy Archivio Valerio Adami