di Valentina Trentini
Fino all’11 agosto, nel quartiere alla moda meneghina, Tortona, Armani Silos presenta la mostra “Aldo Fallai per Giorgio Armani”, a cura di Giorgio Armani, Rosanna Armani e Leo Dell’Orco.
Dalla metà degli anni ’70 il fotografo Aldo Fallai ha stretto un sodalizio artistico con l’iconico Armani, che ai tempi era un giovane stilista freelance. L’intesa tra i due? È immediata. Fallai rimane affascinato dalla volontà di Armani di creare un immaginario unico, inequivocabile, alla ricerca di scene che rappresentino “la miglior vita possibile”.
Ma, la miglior vita possibile, è qualcosa in cui lo spettatore può davvero rispecchiarsi?
Ogni immagine, prevalentemente in bianco e nero, vuole essere la rappresentazione di un istante reale, immediato, senza tempo. Le collezioni dello stilista sembrano quasi passare in secondo piano, pur essendo tutte fotografie di alta moda. Fallai voleva rappresentare l’oggi, un oggi estrapolato però da una linea cronologica degli eventi.
L’intento dell'autore? Mostrare come il carattere del personaggio, il suo modo di esistere e mettere piede nel mondo sia fortemente influenzato dal suo abbigliamento. Ogni
situazione può essere fonte d’ispirazione per uno scatto, non importa se all’aperto, se sotto la pioggia, o in un ufficio. Forse il fotografo vuole sottolineare come l’arte sia riscontrabile ovunque, a patto di essere capaci di riconoscerla. Forse, vuole sottolineare come la poesia e la sensualità aleggino costantemente, creando un incantesimo che tutti, se volenti, possono cogliere.
Armani e Fallai hanno avuto un dialogo continuo, naturale, fidandosi ciecamente l’uno dell’altro. Puntavano alla personalità, a ciò che c’è oltre all’apparenza, al forte carattere di coloro che vengono ritratti.
Sono circa 250 scatti, che documentano 28 anni di un dialogo, puro, amichevole, senza invidia, ma colmo di ammirazione, racchiusi in immagini senza tempo. Non viene neppure seguito l’ordine cronologico delle immagini. Questo permette allo spettatore di interrogarsi ogni volta sul momento in cui sia stata scattata. “Erano negli anni ’80 o già durante il periodo della generazione Z?” Non ci è dato sapere. Nessuna immagine presenta didascalia, titolo, data. Niente di niente. Vogliono davvero dare così tanto potere allo spettatore?
Ogni fotografia ha un proprio linguaggio, ottenuto con pochi mezzi, senza effetti speciali, eppure certamente dai toni forti, che mira ad avvolgere lo spettatore quasi come i prestigiosi capi dello stilista. Negli anni le foto sono state pubblicate su quotidiani e periodici, nel tentativo di fare ancora più breccia nel cuore di coloro che osservavano.
Armani dice che “lo stile è espressione totale”. Di questi scatti però, ci sono più chiavi di lettura.
L’intento di Fallai e Armani, e forse di tutta l’intera industria della moda di quei tempi, è documentare la rappresentazione di un istante reale, senza tempo, immediato. Può avere lo stesso sapore oggi? È davvero possibile restituire quella spontaneità e quella naturalezza senza filtri?
L’occhio contemporaneo a tratti, dopo lo stupore per la nitida tecnica professionale fotografica, potrebbe essere scettico nei confronti di quell’idea di “espressione di stile totalizzante” che, se da un lato lo stilista voleva restituire come idillio naturale, oggi risulta più una forzatura: le icone non sorridono. Sarà per quest’aura di serietà, che viene fatta passare per eleganza?
Fallai aspira a mostrarci parte di una quotidianità, ma l’intento fallisce se lo spettatore contemporaneo si ricorda che nella moda la spontaneità è rara, il più delle volte, finta. La quotidianità e la naturalezza che si mostrano? Sono filtrate dall’occhio modaiolo, che non può nemmeno accettare un capello fuori posto.
Le fotografie sono sicuramente suggestive, nonostante gli anni passati da quando sono state scattate, ma non per questo permettono allo spettatore di rispecchiarvisi. Non possiamo d’altronde dimenticarci che sono scatti di moda. Di alta moda.
La moda non è nota, purtroppo, per essere inclusiva. Anche se è la tendenza del momento.
Non è nota per essere spontanea, non è un requirement per entrare a farne parte. Basti pensare alle imposizioni mimiche e gestuali nelle sfilate, dai ritmi della camminata, alle pretese sulle fisicità dei modelli.
Non che non si possa giungere ad un altro livello di autenticità, ma ad oggi, l’alta moda non è qualcosa di accessibile a tutti. Non è qualcosa di quotidiano. E non si può neanche fingere che lo sia. Per anni, in base all’acconciatura o al corpetto, la cintura o le scarpe, è stato possibile identificare una persona. Ma oggi, possiamo davvero dire che questa associazione naturale dall’occhio allo status sociale valga? La società è mutata, i consumatori, anche. Oggi, nella moda, vale tutto.
La moda può essere espressione, ma non classificazione. E, se considerata espressione, non può essere più vista come biglietto da visita.
Per questo, nonostante il fascino delle immagini, che certamente catturano lo spettatore, più che la ricerca di una spontaneità sempiterna, oggi colui che guarda potrebbe dire semplicemente “questa mostra è una pubblicità da venti minuti di Armani”.