Cosa ne pensiamo delle opere di arte contemporanea? Ci sembrano facilmente interpretabili? Con una tela dipinta di bianco (presentata nientepopodimeno che dalla galleria Mazzoleni di Torino ad Artissima 2016), ci identifichiamo? Cosa ci comunicano dei glitter verde acqua gettati a terra? E una scritta al neon che recita “shit”?
Queste sono solo alcune delle domande che sintetizzano i dubbi più frequenti che sorgono quando si sta davanti ad un'opera d'arte contemporanea. Non nascondo che, in alcuni casi, persino la mia fedeltà assoluta nei confronti dell'arte in generale ha vacillato, ma procediamo con ordine.
Sicuramente ci è più difficile interpretare le opere d'arte dei giorni nostri, in quanto, per definizione, esprimono uno stato d'animo od un concetto attuali. Risulta dunque arduo cogliere a pieno un messaggio, se ce lo si trova troppo sotto al proprio naso. Per leggere con maggiore chiarezza i segni presenti nelle opere attuali serve, forse, un po' più di distacco temporale. Iniziamo, infatti, a metabolizzare solo ora (e timidamente) le nozioni che i vicini artisti del dopoguerra esprimevano. Fino a poco fa l'arte povera era masticata solo dai più esperti, mentre oggi comincia ad essere molto più vicina anche alle nuove generazioni e una tela composta da pezzi di sacchi di patate non scandalizza più. Le si porta, al contrario, molto rispetto per il significato storico che possiede.
È quindi sufficiente lasciar scorrere un po' di acqua sotto i ponti per comprendere anche le più assurde manifestazioni d'arte d'oggi? Può essere d'aiuto per decifrare un codice di linguaggio o un movimento sociale più ampio in cui contestualizzare il tutto, ma non è di certo il modo più soddisfacente, in quanto non presenta, di fatto, alcuna soluzione.
La letteratura classica si pronuncia in tal modo:
“l'arte contemporanea sostanzialmente dialoga con strutture antropologiche elementari, basiche, sostanzialmente psichiche, piuttosto che con strutture elitarie di pensiero” (Enrico Crispolti, Come studiare l'arte contemporanea, Donzelli, Roma 2005).
Questa frase sovverte completamente i preconcetti al riguardo e pone l'arte contemporanea come qualcosa che dialoga direttamente con le persone del suo tempo e che tratta in maniera semplice nozioni basilari, adatte alla comprensione di tutti, non solo di un pubblico colto e di nicchia.
Se questa affermazione può lasciare a primo acchito un po' sorpresi e sbigottiti, è possibile iniziare a comprenderla di più osservando le sculture dell'artista Igor Mitoraj.
Egli prende fortemente spunto dalle sculture classiche, sebbene le ripensi in chiave post-moderna. Si è specializzato nella realizzazione di enormi statue di corpi o parti di esso, che tuttavia risultano tronche, incomplete o rarefatte. Esse sono appoggiate al suolo, sdraiate o di traverso, quasi fossero abbandonate o cadute e non ci vuole molto per associarle al degrado in cui è lasciato il nostro meraviglioso patrimonio culturale e alla noncuranza con cui questo viene trattato. La raffigurazione in formato XXL di parti di sculture greche o romane, dunque, è un simbolo che risulta di forte impatto proprio ai nostri occhi, e non c'è bisogno di alcuna metabolizzazione del messaggio affinché ci risulti chiaro e potente.
È questo, forse, un concreto esempio delle parole di Crispolti? Non so a voi, ma a me sembrano cucite addosso alle sue opere.
Se volete farne esperienza vi basterà prendervi la scusa di un weekend fuori porta e fare un salto a Pietrasanta, in Toscana, nella quale Mitoraj aprì il suo secondo studio e alla quale donò gran parte delle sue sculture.
Inoltre, è in corso una mostra di 30 dei i suoi capolavori tra le rovine di Pompei, in cui ha origine un armonioso dialogo tra i giganti del passato e la contemporaneità, senza mai sovrastarsi l'un l'altro.
Infine, presso la galleria Dada East di Milano potrete ammirare una interessante mostra fotografica che gli fa omaggio.